Una prosa "rivoluzionaria", il sogno
avverato di una scuola di scrittura, la ricerca di nuovi
linguaggi e la deludente incursione in quello cinematografico o
teatrale. E ancora, l'amore per la musica, l'esperienza
giovanile dello scoutismo: c'è un sorprendente parallelismo
nella narrazione della loro avventura di scrittori tra due
grandi autori, Alessandro Baricco ed Eshkol Nevo, trasmessa ieri
dal palco del teatro Quirino di Roma. Un evento per festeggiare
il compleanno dell'autore piemontese e la casa editrice
Feltrinelli. Ma soprattutto per far ascoltare la voce dei due
autori ai tanti lettori giunti con la speranza di scoprire dov'è
che si annida il segreto di una scrittura che ti cattura.
"Non mi era mai accaduto: in genere condivido con altri
scrittori con cui mi confronto una soglia interessante, ma
ridotta, di esperienze e punti di vista comuni. Con Alessandro
questa condivisione sale al 99%!" si stupisce Nevo alla fine di
una serata in cui hanno raccontato, sollecitati dalle domande di
Annalena Benini, cosa significhi scrivere. E più in generale
comunicare: come hanno fatto ad annusare, ed anticipare, il
cambiamento, come hanno fatto diventare le loro opere dei
"classici della contemporaneità". Facendo, per dirla alla
Baricco, quella rivoluzione con cui Kate Moss ribaltò per sempre
l'immaginario di modella o quel salto in alto con cui Dick
Fosbury reinventò l'atletica o Maria Callas il canto lirico.
"Sono una persona mite, pacifica però ho sempre adorato
spaccare. Celine diceva: 'scrivo per rendere impossibile agli
altri di farlo'. Io ce l'ho questa cosa ma non è competizione.
Quando ho iniziato a scrivere si pubblicavano cose che non vi
potete immaginare. E io insieme ad altri miei contemporanei, ho
fatto...pum pum pum!, li abbiamo eliminati tutti" confessa
Baricco con in mano la sua immaginaria pistola fumante. Anche
per Nevo la chiave è la stessa tant'è che cita "La strada non
presa" di Robert Frost: "a volte mi rendo conto che scrivo per
provare a vivere quella vita che avrei vissuto nella strada non
presa" . Ma anche per questo il più delle volte è il caso che ti
porta per mano perché spesso la vita è più sorprendente della
fantasia: "Così è nato uno dei miei libri di maggiore successo,
Tre Piani. In quel periodo non avevo la patente e mi muovevo in
treno e bus, dove la gente al telefono racconta ad alta voce
cose personalissime". Ma "ultimamente ho riscoperto anche la
cura della scrittura. Mi hanno chiesto di tenere un laboratorio
per aiutare le persone colpite dalla guerra ad affrontare i loro
traumi. Chi scrive non deve per forza avere talento: farlo è già
una cura. Noi scrittori, narratori, abbiamo un ruolo molto
importante" .
E proprio l'idea della scuola come palestra di creatività e
umanità è l'esperienza che avvicina così tanto i due scrittori.
"Alessandro non lo sa ma mi ha cambiato la vita. Ho fatto un
corso alla Holden e fu una sorpresa: era un luogo così cool,
pazzesco. Sono tornato in Israele e ho deciso di aprirne una
anche io. Volevo un luogo in cui si coltivasse la tolleranza, la
non violenza, l'empatia, dove si formassero persone aperte,
sensibili: e così cambiare la società. Come si diventa
scrittori? Io l'ho scoperto quando da ragazzo dovetti
accompagnare un gruppo di scout: la sera intorno al fuoco avevo
il compito di dover raccontare una storia che facesse paura ma
non troppo. Per tutto il tempo ho pensato unicamente a questo:
ma poi i ragazzi ne rimasero affascinati. Lì ho capito che
potevo raccontare bene delle storie".
Ecco il caso. "Ho fatto lo scout anche io!" rivela, per inciso,
Baricco. "Pensavo che scrivere fosse un modo per cambiare il
mondo. Sono cresciuto facendo una cosa che mi piaceva
fisicamente fare. Poi insegnare e apprendere è una cosa
fantastica che provoca, come sapevano bene i greci, una tensione
erotica. E scrivere ti dà una postura nei confronti del mondo
sobria, armonica, bella: offre una luce che rende migliori le
persone e il mondo. Il 95% di chi frequenta la Holden scopre,
più della scrittura, l'ascolto, la cura".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA