HELGA SCHNEIDER, HITLER. MAI PRIMA DI
MEZZOGIORNO (Oligo editore, pp.200, 18 euro). Una larva malata,
tenuta in piedi a fatica e a forza di psicofarmaci, eppure
ancora capace di attimi di perversa lucidità: così appariva
Adolf Hitler agli occhi di una bambina di 7 anni che ebbe
l'opportunità di vederlo alla fine della guerra, scendendo nel
bunker della Cancelleria. Una drammatica e potente testimonianza
anima il libro "Hitler. Mai prima di mezzogiorno" (Oligo
editore, disponibile dal 24 gennaio) scritto da Helga Schneider,
tra le ultime testimoni dirette dell'orrore nazista. L'autrice,
in Italia dal 1963 ma a Berlino dal 1937 al 1948, quando abitava
in un quartiere non molto distante dall'ultimo grande bunker in
cui per quattro mesi Hitler si rifugiò, costruisce una
narrazione che si colloca a metà tra il romanzo e il saggio,
mettendo a nudo la verità storica e consegnando al lettore un
monito contro ogni deriva autoritaria, oggi purtroppo ancora
attuale. "Il grand'uomo si trastullava fino all'ultimo nel vano
sogno di armi segrete, che avrebbero cambiato le sorti della
guerra a favore della Germania - scrive Schneider nel libro -
Tirava avanti ostinatamente, avvizzito e incerto sulle gambe,
drogato e ingobbito, prolungando la guerra con l'unico scopo di
rimandare il giorno della resa. Adolf Hitler, un dittatore con
una montagna di colpe sulla coscienza, si sarebbe sottratto alle
sue responsabilità, semplicemente togliendosi la vita".
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