Isabella Linsalata non era
dipendente da farmaci come tranquillanti e sonniferi, ma "se lei
prendesse qualcosa e le è scappata la mano, non lo so". A dirlo
è stato il marito, Giampaolo Amato, l'oculista 65enne a processo
davanti alla Corte d'Appello di Bologna con l'accusa di aver
ucciso la moglie e la suocera, Giulia Tateo, con un Midazolam e
Sevoflurano.
"So con certezza che io non ho somministrato farmaci", ha
tenuto a precisare in aula Amato che tuttavia ha sottolineato di
aver visto la moglie "sonnolenta" in più occasioni.
"I primi episodi risalgono agli anni dell'università", ha
spiegato l'oculista e si sarebbero intensificati, a detta della
figlia, dopo che nel 2019 lui ha lasciato la casa di famiglia
perché aveva una relazione con un'altra donna. "Isabella non mi
ha mai specificato che tipo di farmaci prendesse per dormire e
stare più tranquilla", ha aggiunto Amato, precisando però che
"l'unica cosa certa, di cui tutti siamo sicuri in maniera
inequivocabile, è che Isabella non si sia suicidata e che
difendeva la propria famiglia".
"Isabella non può essere considerata come un'addicted - ha
ribadito Amato - ma in maniera inconsapevole probabilmente aveva
alzato i dosaggi dei farmaci. Non so perché. Non sono salito a
casa la sera della morte di Isabella, non ho iniettato farmaci
su nessuna persona al mondo perché io sono così. E tutta la mia
vita è così", ha proseguito Amato che ha anche raccontato di un
fine settimana nelle Marche che la moglie aveva organizzato per
cercare di riavvicinarsi a lui.
"Mi propose di dare un colpo di spugna sulla mia relazione e
andare a Portonovo di Ancona, che per noi è un posto speciale,
per provare a ricominciare. Me lo avrebbe mai proposto se avesse
sospettato che le avessi somministrato delle benzodiazepine a
sua insaputa?", ha concluso.
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