Sul protocollo Italia-Albania "il governo andrà avanti" nonostante le bocciature della Corte d'Appello.
Mentre i 43 migranti hanno lasciato il porto di Shengjin a bordo della motovedetta della Guardia costiera italiana per approdare poi a Bari, fonti del Viminale chiariscono di essere decise a proseguire sulla linea dei trattenimenti nei centri per le procedure accelerate alla frontiera. Sul tema, siano le strutture in Italia o in Albania, si sta sviluppando nel nostro Paese "una giurisprudenza che appare di corto respiro destinata a essere superata dagli eventi, visto che - sottolineano dal ministero - le Corti di appello scelgono di rinviare alla Corte di giustizia europea sostanzialmente per prendere tempo, quando si tratta di un sistema già previsto dal nuovo Patto europeo immigrazione e asilo che entrerà al più tardi in vigore nel 2026".
Dunque nessuna resa dell'esecutivo anche di fronte al terzo no dei giudici al trattenimento dei migranti nel centro albanese di Gjader, con una decisione analoga per tutti e quarantatré e che rinvia alla Corte di giustizia europea il compito di diramare i dubbi sul fatto che un Paese possa qualificarsi come sicuro, "quando - dicono i giudici - le condizioni sostanziali per la sua designazione non sono soddisfatte per alcune categorie di persone". Ma nulla cambia nella prospettiva del governo, che - chiariscono anche dal ministero dell'Interno - andrà avanti nella convinzione che il contrasto all'immigrazione irregolare che si avvantaggia dell'utilizzo strumentale delle richieste di asilo sia la strada da perseguire per combattere gli affari dei trafficanti senza scrupoli".
Anche perché - viene ancora fatto notare - il Protocollo Italia Albania "è il modello da cui partire per la realizzazione di veri e propri hub regionali sui quali c'è stata piena convergenza da parte dei ministri europei". La posta in gioco riguarda dunque ancora i centri di Shengjin e Gjader, le strutture volute dal governo, finite al centro delle polemiche a cui l'Europa guarda come un primo esperimento e che il governo rivendica con orgoglio. Ma il Viminale stavolta non ricorrerà in Cassazione, come accaduto in passato, proprio perché i giudici in realtà si sono già espressi. Una sentenza degli ermellini pubblicata lo scorso 30 dicembre ha provato a dare alcune risposte con un'ordinanza interlocutoria in attesa che sul nodo Paesi sicuri sia, nei prossimi mesi, la Corte di giustizia dell'Unione europea a mettere un definitivo tassello di chiarezza. i giudici della suprema Corte afferma intanto che la definizione di Paesi sicuri "spetta, in generale, soltanto al ministro degli Affari esteri e agli altri ministri che intervengono in sede di concerto".
La Cassazione ha quindi, "sospeso ogni provvedimento" in attesa che si pronunci la corte con sede in Lussemburgo. I magistrati, però, offrono "nello spirito di leale cooperazione" la "propria ipotesi di lavoro" senza "tuttavia tradurla né in decisione del ricorso né in principio di diritto suscettibile di orientare le future applicazioni". Inoltre, secondo quanto emerso lo scorso 29 novembre, almeno due dei recenti rinvii pregiudiziali italiani in tema di riconoscimento della protezione internazionale - riguardanti procedure comuni ai fini del riconoscimento o della revoca dello status di rifugiato - verranno trattati in Corte di giustizia europea con il procedimento accelerato.
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