(di Elisabetta Stefanelli)
ANNIBALE PALOSCIA, 'INFORMAZIONE E
LIBERTÀ DI PENSIERO. APPUNTI DI UN GIORNALISTA''. (EDIZIONI ALL
AROUND PER LA FONDAZIONE SUL GIORNALISMO PAOLO MURIALDI, PAG.
159, EURO 18,00) - È dal cassetto di una scrivania, quella dello
studio in cui passava le sue giornate, che riemergono grazie
alla dedizione e all'amore delle figlie Francesca e Marta, le
carte di Annibale Paloscia che ora sono diventate un volume per
All Around dal titolo emblematico: ''Informazione e libertà di
pensiero'', e dal sottotitolo che pure lui avrebbe amato,
''Appunti di un giornalista''. Annibale aveva non soltanto la
vocazione del cronista, ''di razza'' si sarebbe detto un tempo,
ma anche quella oramai quasi perduta, della voglia di
trasmettere il senso di un mestiere di cui molti allora, come
lui, facevano una ragione di vita.
Qui, in queste pagine poi, si parte dalla storia, dalla sua
collezione di giornali antichi, ma non giornali qualsiasi,
piuttosto quelli ''di area politica, prevalentemente
garibaldina, radicale, moderata, di area liberale, di area
cattolica e socialista''. Se ne vedono riprodotte le pagine nel
libro, grandi piene di parole, senza foto, solo il titolo e a
volte qualche disegno, raramente una vignetta o una pubblicità.
Pagine di rigore, che tipico era del Paloscia giornalista, e
giusta introduzione al capitolo in cui parla de Il mestiere di
giornalista.
Un corso dunque, non tanto per invogliare a intraprendere una
professione ''le cui difficoltà di accesso sono gravi'', ma
''una buona occasione per visitare il palazzo del 'quarto
potere' e diventare consapevoli di cosa significhi nella società
civile il potere di informare, di influenzare lo spirito
pubblico, di determinare processi negativi o positivi nella
formazione della coscienza politica dei cittadini''. Si parte
dall'analisi delle fonti, con l'indicazione che se si vogliono
trovare notizie a volte le fonti istituzionali bisogna
tralasciarle, per entrare nel merito di come si scrive una
notizia, la forma, il linguaggio. Qui Paloscia sostiene una
sorta di supremazia de giornalismo: ''Nella realtà sociale -
scrive - le sole autorità linguistiche che contano sono le
strutture giornalistiche perchè usano le forme adatte a
comunicare con le fasce produttive della popolazione e le
arricchiscono ogni giorno con le novità prodotte dagli interessi
e dal sentire della gente''.
Comunicare è per Paloscia la parola chiave di questo mestiere
che deve tendere alla verità per portarla all'attenzione del
lettore a cui si rende un servizio. Uno spirito che si ritrova
nella sua lunga carriera all'Agenzia ANSA, dove era stato
assunto nel 1966 e sarebbe rimasto fino al 1994, per diventare
capo della Cronaca di Roma e successivamente della redazione
cultura nei cui meccanismi entra nel dettaglio in queste pagine
in cui sono riprodotte anche notizie nella loro versione
originale, compreso il comunicato di quella storica del
rapimento di Aldo Moro che fu oggetto di un suo storico scoop
come ricorda anche Stefano Polli nell'introduzione. ''Entrai
nella sua stanza con una certa soggezione. Aveva gli occhiali
calati sul naso, gli occhi vivi e ironici e una coppola in
testa'', scrive Polli descrivendo il suo primo incontro con
Paloscia in un ritratto perfetto. Anni che nel libro tornano
anche attraverso la testimonianza di Paolo Serventi Longhi o
Piero Trellini sul ''metodo Paloscia'', che era poi
sostanzialmente la presenza, la verifica, il salire su quella
automobile che poteva e doveva portare il cronista sul luogo per
vedere e capire. Qualcosa che senza dubbio sta scomparendo nel
giornalismo di oggi, che si affida a fonti sempre meno
verificate e in un momento in cui la verità sarebbe ancora più
necessaria per orientare il lettore che invece si tende ad
abbandonare all'onda della rete, alla sua corrente che non si sa
dove ci porta.
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