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Edith Bruck, non ho voluto denunciare nessuna kapo

Edith Bruck, non ho voluto denunciare nessuna kapo

La scrittrice ebrea ungherese a Cinque Minuti di Bruno Vespa

ROMA, 22 gennaio 2025, 18:17

Redazione ANSA

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"Era una polacca, una kapo di Auschwitz che ho riconosciuto quasi subito quando mi ha fermato in un negozio a Roma e mi ha detto 'tu sei Edith di Auschwitz'.
    Mi è preso un colpo. Mi sono voltata e ho visto la donna dal cappotto verde". Lo racconta la scrittrice e poetessa Edith Bruck, sopravvissuta alla deportazione, stasera a Cinque Minuti di Bruno Vespa su Rai1, parlando dell'incontro casuale con La donna dal cappotto verde che ha ispirato uno dei suoi libri più conosciuti, uscito nel 2012, che torna ora in libreria per La nave di Teseo. Si chiamava Lola e temeva di essere denunciata da lei. Perché non la denunciò? "Non ero convinta di denunciare perché non potevo sapere cosa aveva vissuto lei che era stata deportata due anni prima di noi ebrei-ungheresi. Non mi piace denunciare, non ho mai denunciato nessuna kapo. Ne ho incontrata anche un'altra, in Israele".
    Lei, ricorda Vespa, fu deportata con la famiglia nel 1944 quando aveva 13 anni, alla fine siete sopravvissute lei e sua sorella. Al momento della selezione lei voleva andare a sinistra con sua madre e invece la tirarono per un orecchio e la portarono a destra con sua sorella e fu la sua salvezza. "Mi hanno buttato con mia madre a sinistra che voleva dire la camera a gas immediatamente, invece a destra i lavori forzati. Avevo 13 anni il programma era che non dovessi sopravvivere. L'ultimo tedesco a sinistra si è chinato su di me e mi ha sussurrato vai a destra, vai a destra. Io non volevo andare. Allora non sapevo cosa fossero sinistra e destra, sia chiaro. Non volevo lasciare la mamma, mi sono aggrappata con tutte le mie forze, poi lei inginocchiata ha supplicato il tedesco di lasciare l'ultimo dei suoi figli, la più piccola. Lui ha preso il calcio del fucile, mia madre è caduta e poi mi ha battuto il fucile sul collo, mi ha trascinato, ero aggrappata a mia madre con le unghie, mi ha dato delle botte fino a che non mi sono trovata a destra. Mi ha dato la possibilità di salvarmi" racconta.
    È vero che vi ha mostrato il fumo dicendo 'quella è vostra madre'? "Ho pianto per tre settimane per mia mamma. Il kapo del blocco mi diceva 'non disturbare i tedeschi, piantala, basta!'.
    Alla fine non ne poteva più e ha detto 'Vieni ti faccio vedere io dove è tua madre'. Mi ha portato all'ingresso del blocco e mi ha detto: 'vedi quel fumo, è lì tua mamma. Era un po' grassa mi ha chiesto? Si, un pochino. Allora hanno fatto sapone come della mia. E creperete tutti voi come noi che siamo qua da due anni'".
    Ebrea ungherese naturalizzata italiana, moglie del poeta e regista Nelo Risi, morto nel 2015, Edith Bruck, che da molti anni vive a Roma e a maggio di quest'anno compirà 94 anni spiega che "da Auschwitz non si può mai uscire. Si porta dentro tutta la vita.
    A parte che io scrivo libri e vado nelle scuole da oltre 64 anni e questo in parte mi aiuta e in parte è molto faticoso, credo sia un dovere morale raccontare perché non si sa mai abbastanza, non si saprà mai abbastanza. Come diceva Primo Levi puoi raccontare ma non potranno forse mai comprendere".
    A Vespa che le chiede "Quando voi non ci sarete più chi parlerà della Shoah?" risponde: "Come dice Liliana Segre sarà un oblio totale. Ma io credo che qualcosa rimarrà, almeno della mia testimonianza. Andrò avanti fino all'ultimo respiro, è un dovere morale raccontare".
   

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