Separare le carriere di giudici e pm è un "passaggio necessario per migliorare la giustizia" e il cittadino, in vista del più che probabile referendum, deve essere messo in condizione di scegliere e di votare "consapevolmente e liberamente" a favore oppure contro. È lo spirito animatore di un pamphlet che in questi giorni ha cominciato a circolare a Torino: lo firma Mauro Anetrini, 67 anni, avvocato penalista di lungo corso assai conosciuto negli uffici giudiziari di tutta Italia, e racchiude in una cinquantina di pagine una serie di "riflessioni rivolte a chi non vive di giustizia, ma ha tutto il diritto di essere informato". Il linguaggio piano, scorrevole e privo di qualsiasi dissertazione dottrinaria, però, non lo rende un'opera di divulgazione: si tratta di un pamphlet e, in quanto tale, oltre a schierarsi con veemenza da una parte, quella della separazione delle carriere, non risparmia le stoccate tanto alla magistratura e alle sue "invasioni di campo" quanto a una politica che nei decenni ha peccato di "ignavia, indolenza, inerzia".
Già il titolo si profila come una specie di indicazione per l'elettore chiamato alle urne: "Separare. Perché Sì". Il punto, per Anetrini, è semplicemente "riequilibrare lo stato delle cose", rendendo il giudice effettivamente "terzo" rispetto al pm e "riportando le posizioni di tutti al posto loro assegnato dalla Costituzione".
Anetrini rivendica il diritto di polemizzare con le toghe, fuori dalle aule di giustizia, da pari a pari e senza timori; e a volte sembra accusare la controparte di voler eludere il confronto. "Siamo debitori alla magistratura - scrive - per l'impegno politico profuso nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e al malaffare politico. Il doloroso tributo di sangue pagato anche dai magistrati è il prezzo pagato per conseguire l'altissimo merito per il servizio reso alla Repubblica. Ma se le cose stanno così, perché criticarli? Perché, forti del credito acquisito, hanno troppo spesso assunto un ruolo antagonista a quello degli altri poteri".
Quanto ai rischi e ai danni al sistema giustizia paventati dagli oppositori, l'autore osserva che "non uno degli attuali poteri del pubblico ministero è oggetto di eliminazione o riduzione", sottolineando che "mai e poi mai accetterei una riforma che possa anche solo sembrare punitiva". E per allontanare lo spauracchio di un attentato all'indipendenza dei pm ha una soluzione: modificare l'articolo 101 della Costituzione da "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" a "i magistrati sono soggetti soltanto alla legge".
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