Tensione alle stelle in
Bosnia-Erzegovina, dove la Procura statale ha emanato un ordine
di arresto per Milorad Dodik, il leader nazionalista
serbo-bosniaco e presidente della Republika Srpska, l'entità a
maggioranza serba del Paese balcanico, con l'accusa di attentato
all'ordine costituzionale. Analoghi ordini di arresto, con la
medesima accusa, sono stati disposti dai giudici per il premier
dell'entità Radovan Viskovic e il capo del parlamento locale
Nenad Stevandic. Provvedimenti che rinnovano e acuiscono
ulteriormente il duro braccio di ferro tra le autorità centrali
della Bosnia-Erzegovina a Sarajevo e il leader serbo-bosniaco,
da tempo nell'occhio del ciclone e nel mirino della comunità
internazionale per le sue crescenti aspirazioni separatiste.
Stati Uniti e Gran Bretagna hanno per questo sanzionato a più
riprese Dodik sul quale pendono anche pesanti accuse di
corruzione per operazioni economiche e finanziarie poco chiare
condotte unitamente a esponenti della sua famiglia. L'ordine di
arresto è giunto nel giorno del compleanno di Dodik, che non si
è mostrato peraltro eccessivamente preoccupato, ribadendo la sua
posizione secondo cui si tratterebbe di una lunga e ostile
"persecuzione politica" ai suoi danni. "Tutto ciò è motivato
politicamente. Non sono arrabbiato e non lascerò mai la
Republika Srpska. Se qualcuno pensa che siamo dei codardi si
sbaglia di grosso", ha detto Dodik in conferenza stampa insieme
a Viskovic e Stevandic. E ha denunciato un piano per abbattere
la Republika Srpska "organizzato dai bosniaci musulmani" sulla
base di decisioni di "uno straniero" che a suo dire non ha
alcuna legittimità e potere per emanare tali decisioni. Il
riferimento è all'Alto rappresentante internazionale in
Bosnia-Erzegovina, il tedesco Christian Schmidt, nemico numero
uno di Dodik, del quale il leader serbo-bosniaco e l'intera
dirigenza della Republika Srpska, appoggiati da Serbia e Russia,
non riconoscono la legittimità. A innescare la nuova e profonda
crisi politica e istituzionale in Bosnia-Erzegovina - a 30 anni
dalla fine della guerra e dall'accordo di pace di Dayton - è
stata la condanna di Dodik in primo grado a fine febbraio a un
anno di reclusione e sei di interdizione da ogni attività
politica per disobbedienza alle delibere dell'Alto
rappresentante. Per tutta risposta il Parlamento della Republika
Srpska ha adottato in tempi brevi una legge che vieta l'attività
sul territorio dell'entità degli organi centrali di giustizia e
polizia che fanno capo a Sarajevo. Legge subito sospesa dalla
Corte costituzionale di Bosnia-Erzegovina, con Dodik, Viskovic e
Stevandic che hanno al tempo stesso ignorato una convocazione da
parte della Procura. In tale situazione di scontro aperto e
altissima instabilità in Bosnia-Erzegovina - visitata due giorni
fa dal segretario generale della Nato Mark Rutte - pieno
appoggio a Dodik è stato espresso da Serbia e Russia, suoi
tradizionali alleati. Il ministro degli esteri russo Serghiei
Lavrov, in un messaggio con gli auguri di compleanno, ha parlato
di "assurdo processo politico" ordito contro il leader
serbo-bosniaco, "un insulto alla giustizia" e di un colpo contro
la Republika Srpska "ispirato dall'estero". Per il presidente
serbo Aleksandar Vucic, l'ordine di arresto per Dodik favorisce
la "destabilizzazione" e crea "un totale caos nella regione".
Preoccupato il premier serbo dimissionario Milos Vucevic,
secondo il quale l'arresto di Dodik "aprirebbe la strada verso
la guerra civile". Il riacutizzarsi delle tensioni ha indotto la
Eufor, la missone militare dell'Unione europea in
Bosnia-Erzegovina, a rafforzare le proprie truppe, con reparti
aggiuntivi che stanno affluendo da ieri nel Paese balcanico.
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