Ci sono 293 nuove varianti genetiche collegate al rischio di sviluppare la depressione. La scoperta arriva dal più vasto studio mai fatto finora basato sui dati di oltre 5 milioni di persone provenienti da 29 Paesi e di etnie diverse. La ricerca, pubblicata sulla rivista Cell, è stata condotta dal Gruppo di lavoro sui disturbi depressivi del Consorzio di genomica psichiatrica, guidato da Andrew McIntosh dell’Università britannica di Edimburgo. Ne fanno parte anche ricercatori italiani dell’Università di Bologna e dell’Università di Trento. I risultati offrono l’opportunità di mettere a punto terapie più efficaci e su misura basate sul corredo genetico di ogni individuo.
I ricercatori hanno analizzato i dati provenienti da quasi 689mila persone alle quali è stata diagnosticata la depressione e da circa 4,3 milioni di individui senza questo disturbo, un campione estremamente vasto. “Ci sono enormi lacune nella nostra comprensione della depressione clinica, che limitano le opportunità di migliorare i risultati per le persone colpite”, afferma McIntosh. “Studi più ampi e più rappresentativi a livello globale come questo sono fondamentali per fornire le conoscenze necessarie per sviluppare terapie nuove e migliori – aggiunge il ricercatore – e prevenire il disturbo nei soggetti più a rischio”.
Sebbene ogni variante aumenti solo di poco il rischio di sviluppare la patologia, possederne più di una può essere più problematico, soprattutto se aggiunte ad altri fattori di rischio come l’alimentazione e la qualità del sonno. Gli autori dello studio, inoltre, hanno collegato le varianti identificate con tipologie specifiche di neuroni: questo ha permesso di far luce non solo sui cambiamenti che nel cervello possono accompagnare o innescare la depressione, ma anche di comprendere meglio come questo disturbo sia collegato ad altri problemi, come l’ansia e la malattia di Alzheimer.
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