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La pandemia ha accelerato il fenomeno, ora è allarme tra gli esperti
Le storie di Annalisa e Daniela. Combattono contando i giorni di sobrietà dopo anni di schiavitù dalla bottiglia. I Club territoriali di ascolto sono un aiuto. Il libro bianco del Ministero della Salute
Bere fino ad annullarsi, costantemente, senza un domani. Il demone dell'alcol colpisce sempre più le donne e sempre più le giovani e le giovanissime. Un disagio, certo, ma soprattutto un comportamento, uno stile di vita da cui è complesso venirne fuori. E la pandemia ha accelerato il fenomeno, ora definito dagli esperti "preoccupante". I dati relativi al 2020 (gli ultimi ufficiali disponibili) del ‘Libro bianco’ pubblicato a fine ottobre 2022 dal Ministero della Salute, in Italia i 56,2% delle donne di età superiore a 11 anni hanno consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno per un totale di oltre 15.700.000 persone e nel corso degli ultimi anni il dato è aumentato, sebbene non si riscontrino variazioni significative rispetto all’anno precedente. Il 6,4% delle donne ha inoltre consumato alcol in modalità abituale eccedentaria, il 22,4% lontano dai pasti, il 3,9% in modalità binge drinking (abbuffata di alcolici o bere fino a ubriacarsi) e il 9,4% delle donne ha consumato alcol in modalità a rischio per la loro salute, pari a circa 2.600.000 persone. L’analisi degli indicatori relativa ai comportamenti a rischio mostra che nel corso degli ultimi dieci anni la prevalenza delle consumatrici di vino o alcolici fuori pasto è cresciuta costantemente. La prevalenza delle consumatrici a rischio è diminuita rispetto al 2010 ma nel corso del 2020 è aumentata del +5,3%.
La foto di copertina è di Massimo Percossi / ANSA
"Il barbonismo domestico – spiega lo psicologo e psicoterapeuta Fabio Meloni - è una forma di isolamento sociale che rende alcune persone invisibili, pur se vivono in condizioni di disagio materiale, fisico e psichico. Come i clochard di strada, che sono considerati invisibili e ai margini della società, i barboni domestici sono resi ancora più invisibili dall’avere una casa in cui vivere, che nasconde ancora più efficacemente la loro esistenza al mondo". Quali sono le cause? "Come la maggioranza dei senzatetto, che vive in strada perché si trova in condizioni di povertà estrema o perché affetta da sindromi psichiatriche, anche i barboni domestici vivono la loro condizione per cause pressoché analoghe – continua Meloni - . I casi di barbonismo volontario sono, in realtà, piuttosto rari. Stabilire quanto può essere “volontario” l’isolamento sociale di una persona è difficile: alcuni disturbi sono talmente gravi da rendere molto difficile la valutazione. Una delle cause del barbonismo domestico è la cosiddetta sindrome di Diogene. A differenza del filosofo greco Diogene, che aveva scelto una vita povera dopo una acuta riflessione filosofica, i moderni Diogene si recludono nelle mura domestiche - conclude Meloni - per una totale disattenzione alle proprie necessità basilari, come la salute o l’igiene. L'autosegregazione praticata dai barboni domestici li tiene lontani da qualsiasi possibilità di relazione. Nel corso del tempo, quindi, le loro case si trasformano in vere e proprie "discariche". Nelle abitazioni dei barboni domestici gli oggetti e l'immondizia si accumulano, sovrapponendosi e confondendosi. L'incapacità di liberarsi degli oggetti e dell'immondizia suggerisce un sostanziale "rifiuto" o l'incapacità di vivere le relazioni esprimendo i propri vissuti e le proprie emozioni, che finiscono per "accumularsi" in casa.
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Le storie narrate dall'autrice Sara Lorenzini nel libro "Libere" (che viene presentato a Roma il 24 novembre alla libreria Valle Aurelia, evento inserito nel programma del Comune di Roma per la giornata del 25 novembre dedicata al contrasto della violenza di genere) nascono dall’ascolto di decine di testimonianze di donne che hanno affrontato problemi di dipendenza. Sono racconti di fantasia che prendono ispirazione dalle vicende reali di donne vere, che le hanno generosamente condivise per continuare a tenere la luce accesa sul tema delle dipendenze declinato al femminile. A prescindere dalla sostanza utilizzata – che sia stata dipendenza affettiva, o da alcol, droghe, gioco e cibo – tutte portano ancora sulla loro pelle i segni, visibili e invisibili, di una battaglia interiore, che ha trascinato con sé amori, amici, famigliari. Una battaglia per la libertà che alla fine hanno saputo vincere da sole, sostenute da professionisti e associazioni, come La casa sull’Albero 2006 e la sua presidente, psicologa e psicoterapeuta, la dottoressa Maria Santa Lorenzini, che ha ideato questo progetto. Il libro è tato realizzato nell'ambito de "Il coraggio di essere libere" finanziato con i fondi della Comunità solidale 2020 della Regione Lazio.
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Sara Lorenzini è un’autrice televisiva e una scrittrice "abituata per formazione a lavorare su storie vere". Come è nato questo lavoro? "L’idea di scrivere LIBERE - spiega Lorenzini - nasce dalla volontà di raccontare storie al femminile, di emancipazione e consapevolezza. Con il patricinio della Regione Lazio e l’associazione Casa sull’Albero 2006, abbiamo realizzato così questo libro, una raccolta di racconti, per divulgare testimonianze di donne che hanno affrontato problemi di dipendenza e che sono riuscite a uscirne, accendendo un faro su tutte quelle realtà sommerse che possono essere di supporto a chi sta affrontando problematiche simili". Quali sensazioni ha provato scrivendo questo testo? "Negli ultimi mesi - sottolinea - ho raccolto decine di testimonianza di donne che - a prescindere dalla sostanza utilizzata: alcol, droga, cibo, gioco, sesso… - hanno vissuto anni imprigionate dentro i meccanismi fisici e mentali della dipendenza. Donne che, in un modo o nell’altro, sono riuscite a liberarsi da quegli stessi meccanismi, per riappropiarsi della loro vita, del loro destino. Le loro sono storie di rinascita, storie di ispirazione. Ascoltarle in prima persona, per restituirle su carta, è stata un’esperienza molto forte. Bisogna avere rispetto, cura e attenzione quando si raccolgono testimonianze così piene di dolore, ma anche così cariche di energia e di speranza. Sono state il materiale a cui ho attinto per poi scrivere racconti ispirati a vicende biografiche reali. È un progetto importante, che è stato supervisionato dalla dottoressa Maria Santa Lorenzini, psicologa e psicoterapeuta che da sempre si occupa di problemi legati alla dipendenza".
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Oltre 1,3 miliardi di persone nel mondo consumano quantità di alcolici pericolose per la salute; lo indicano i dati, relativi al 2020 e a 204 Paesi, pubblicati nel luglio 2022 sulla rivista The Lancet e frutto di una vasta analisi dei dati pubblicati nella letteratura scientifica, condotta dal gruppo di ricerca Global Burden of Disease. Sulla base dei dati, sono stati individuati i livelli di consumo di alcolici oltre i quali si corrono rischi per la salute ed è emerso che a superare i valori soglia sono in larghissima maggioranza gli uomini (1,03 miliardi) e 0,312 miliardi di donne. Emerge inoltre che il 59,1% di chi consuma quantità rischiose di alcol ha fra 15 e 39 anni. Per questa fascia d'età, il consumo di alcol presenta invece molti rischi, a partire da incidenti automobilistici, suicidi e omicidi (complessivamente il 60%). I ricercatori hanno inoltre esaminato il rischio del consumo di alcol su 22 esiti sanitari, tra cui lesioni, malattie cardiovascolari e tumori per maschi e femmine di età compresa tra i 15 e i 95 anni. L'analisi dei dati indica che la massima quantità di alcol che le persone tra i 15 e i 39 anni possono consumare senza rischi per la salute è di appena poco più di un decimo di un bicchiere al giorno (0,136 bicchieri al giorno) ovvero un bicchiere ogni 8 giorni.
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I Cat (Club alcologici territoriali) sono comunità multifamiliari autonome costituita da non più di 12 famiglie e un Servitore-Insegnante. Possiamo definire i Club come momenti di incontro tra persone e famiglie con problemi correlati ad alcol e ad altri stili di vita rischiosi (fumo, psicofarmaci, altre droghe, gioco d’azzardo, ecc.), nonché ai disagi familiari e sociali del nostro tempo. Il Club è uno spazio accogliente di confronto e cambiamento, un cambiamento che si crea attraverso il dialogo, lo scambio di opinioni, la riscoperta della solidarietà e dell’amicizia. Uno spazio dove poter costruire una cultura umana che corrisponda alla dignità e ai bisogni della comunità di appartenenza, per poter contribuire a una crescita e a una qualità di vita migliore per tutti. Le persone e le famiglie in un Club condividono il cambiamento possibile come opportunità per tutti; l’auto-mutuo-aiuto, la comunità multifamiliare, il “fare assieme”, l’ascolto riflessivo, l’empatia, la corresponsabilità come strumenti efficaci ed accessibili per impegnarsi a cambiare in meglio sè stessi, le proprie famiglie e comunità. Dunque i Club Alcologici Territoriali non sono dei particolari processi terapeutici, ma l’insieme delle comunicazioni e delle interazioni che avvengono nella comunità familiare di riferimento, che è fortemente radicata nella comunità locale. Si propongono come risorsa per il cambiamento dello stile di vita delle famiglie che ne fanno parte e della cultura sanitaria della comunità locale. Al Club le persone parlano di sé in una comunità che: rispetta, ascolta, comprende, aiuta, stimola, incoraggia, ferma. In altre parole: si fa carico di ognuno. Il condividere insieme le difficoltà quotidiane, il saper ascoltare le problematiche di tutti comporta il ritorno ad una vita serena, tranquilla dove regna la pace.
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